mercoledì 9 luglio 2008

Pallottola a ripetizione

Ci sono giorni in cui mi piace ascoltare la musica italiana. Ci sono giorni in cui amo rilassarmi con della buona musica jazz. Ci sono giorni in cui ho voglia di pop. Ci sono giorni, in cui ho voglia di scatenarmi con del sano rock.
Ci sono giorni... e sono ormai non pochi, che ascolto a ripetizione questa canzone. L'originale, Bullet and a target, è presente nella colonna sonora del film Alpha Dog di Nick Cassavetes. Film moderno, dalla trama apparentemente semplice, ma ben studiato nel dettaglio, tratto da una storia vera.

Questa, semplicemente intitolata "Bullet", è una versione performata dall'autore dell'originale, Citizen Cope, assieme al rapper Rhymefest. Troppo possente!!!

But what you've done here
Is put yourself between a bullet and a target
And it won't be long before
You're pulling yourself away

martedì 1 luglio 2008

Vacanze intelligenti... in vespa

Non amo riprendere gli "scritti" degli altri, ma questo fantastico racconto, non potevo proprio non riportarlo.

Dal blog Berlinerblues di Giovanni Bogani:

L'arte di viaggiare. E quella di vivere.

Giorgio Bettinelli, navigatore solitario. In Vespa

Giorgio Bettinelli in Cina 7

Prendere una Vespa scassata, un giorno d'estate. Mettere la prima, andarci per un po', senza casco, in calzoncini e ciabatte, in una strada polverosa di Padangbai, in Indonesia. E prenderci gusto, vedere i bambini che ti salutano guardandoti come un matto. Prenderci gusto, e non fermarsi più. Fino a fare il giro del mondo. Dapprima un viaggio da Roma a Saigon, durato 9 mesi e quarantamila chilometri. Poi uno nord-sud dall'Alaska alla Terra del Fuoco. E infine un viaggio che attraversa tutti i continenti, e praticamente tutte le terre emerse. Traversando anche la Siberia, migliaia di chilometri senza neanche una strada, portando la Vespa sull'erba gelata, sulla terra.


Perché lui ha fatto tutto questo con una Vespa, una normalissima Vespa PX, quelle "con le frecce" che anni fa andavano di moda, e ora sono state superate nel design dagli scooter leggeri del nuovo millennio. Ma funzionano bene, le Vespe, eccome se funzionano. Giorgio Bettinelli, milanese, ci ha fatto tre volte il giro del mondo, senza praticamente sapere niente di meccanica. Neanche come si cambia una candela, o il filo del gas. E la volta che ha rischiato di morire non è stato per un pneumatico che scoppia o un motore che grippa, ma perché i guerriglieri congolesi lo hanno imprigionato e trattato come una spia. Condannato a morte. E salvato da uno di quei miracoli che, negli ultimi dieci anni, hanno aiutato il suo cammino.


Adesso, Giorgio Bettinelli ha attraversato tutta la Cina. Sempre con una Vespa. Ha fatto quello che Marco Polo forse non ha fatto. “Perché se fosse andato davvero a Pechino sarebbe stato incuriosito, affascinato dalla scrittura degli ideogrammi: e invece non ne parla. E sarebbe rimasto travolto dalla bellezza della Muraglia cinese. Come mai Marco Polo non ne parla mai? E come mai negli archivi cinesi non c’è traccia dei suoi quattordici anni passati alla corte del gran Khan? Magari hanno ragione i veneziani, che hanno chiamato il suo libro ‘Il Milione’ pensando a un milione di balle. Ma non mi interessa, questo. Ciò che volevo fare era conoscere un paese che è un intero continente. La Cina. Il paese forse più bello del mondo, il più spettacolare, il più fotogenico, il più contraddittorio. Dopo quattro anni che vivo in Cina, mi sembra di avere solo toccato la punta dell’iceberg. E più la percorro, più mi sembra che l’iceberg sia enorme. La parte sott’acqua”.


Il suo viaggio in Cina si è cristallizzato in un libro, “La Cina in Vespa”. Scritto in due mesi di lavoro matto e disperatissimo, per coagulare esperienze, incontri, sensazioni in trecento pagine di diario letterario. Qualcosa che ricorda i grandi libri di viaggio del secolo scorso. Anche se non ci sono più i cavalli, ma uno scooter Gran turismo e un laptop portatile. Il libro è edito da Feltrinelli, come i precedenti, “In Vespa”, “Brum brum” e “Rhapsody in Black”. Libri nei quali gli incontri contano più dei chilometri, le facce più delle strade, l’umanità più della meccanica.

“Sempre nel viaggio in Africa", mi dice quando lo incontro in piazza Santa Maria Novella, "Giorgio Bettinelli in Cina 4mi è venuta la malaria cerebrale. I sintomi li riconoscevo. Ma non potevo sapere che era quella la malaria più tremenda. Quella che in un paio di giorni o ci sei o non ci sei più. Sono entrato in un dispensario, il medico aveva schizzi di sangue sul camice. Mi prende una goccia di sangue, vede che è malaria cerebrale, gli chiedo: quante speranze ho di cavarmela? Dice: cinquanta per cento. ‘Se’ lei arriva al villaggio vicino, chieda all’ospedale una pasticca che io non ho. Quel ‘se’ me lo disse senza enfasi, come un dato di fatto. Potevo vivere o morire. Mi strinse la mano, e io me ne andai nella savana, sotto il sole, nel delirio continuo. Visto che sono qui a raccontarla, vuol dire che sono sopravvissuto…”.

Lo vedi nelle foto, e Giorgio Bettinelli non ha una faccia da folle, da invasato, da temerario. Sembra un po' Sergio Ferradini, quello di "Teorema". Magro, sorriso, baffoni, sguardo quasi timido. Non servono muscoli o pazzia per vincere una scommessa così grande. Forse serve di più la ragionevolezza, la capacità di risolvere i problemi senza perdersi d'animo. Giorgio Bettinelli in Africa, Australia, America latina, Siberia ci è andato con un paio di jeans, una Vespa… e una chitarra. "Non la stessa", precisa. "Qualche volta mi serve da antifurto: quando entrano, prendono la chitarra e lasciano stare il resto".


Con la chitarra, Giorgio Bettinelli ha scritto, strada facendo, centinaia di canzoni. Adesso ne ha messe alcune in un cd. Ha chiamato a raccolta alcuni amici musicisti, come Lucio Fabbri della Pfm, e ha intitolato il cd "Dovunque sia". In 254.000 chilometri in giro dappertutto, ha imparato molto più di musica che di meccanica: "ho ascoltato musiche etniche di tutto il mondo. In compenso, non ho mai un cacciavite con me". Appunti di viaggio non ne prende: aspetta gli intervalli tra un viaggio e l'altro, per recuperare tutto quello che ha dentro gli occhi, e scriverne.


Il primo libro, "In vespa", pubblicato da Feltrinelli, è stato un successo travolgente e inatteso. Tutti quelli in lista d'attesa per un viaggio o un sogno l'hanno comprato. E il successo ha spinto Feltrinelli a pubblicare anche il resto. "Brum brum" racconta i suoi successivi tre viaggi, compresa la prigionia fra i ribelli congolesi. E "Brum brum 2", di prossima uscita, chiude l'anello fino al presente. E nell'ultimo capitolo, fra un vagabondare e l'altro, senza fissa dimora per scelta, c'è anche una pagina importante: "tre mesi fa mi sono sposato con una ragazza taiwanese, quella a cui è dedicato 'Brum brum' ". Ma sposarsi non significa fermarsi, per lui. "In questi dieci anni continuati di viaggi", dice, "sempre mi ritrovavo riflessa allo specchio una faccia che mi piaceva. Una faccia che non avevo mai avuto, finché restavo a casa mia".


E così, ecco quattordici anni di strade, e di mani sulle manopoline di gomma di una Vespa, ogni giorno rischiato in strade piccole, con camion che ti buttano fuori strada. Con una fiducia incrollabile nella ragione e nel cuore della gente. "Non mi sono mai portato una tenda. Preferisco una camera d'albergo, anche miserrima. O persino bussare a casa di qualcuno. Ma così c'è un contatto umano. Un viaggio da solo è tutto meno che un'avventura solitaria", dice. "Uno che arriva da chissà dove, su una Vespa con una chitarra nel portapacchi, è impossibile non rivolgergli la parola". La vera solitudine, non lo dice ma di sicuro lo pensa, è nelle nostre città. Semmai, il vero dolore è perdere ogni mattina i luoghi e gli occhi che hai appena incontrato. "A volte, andarsene è come farsi tagliare un braccio. Ma mai disperare. Si va, ma magari dopo anni, si ritorna". E il suo libro è pieno di ritorni, di persone incontrate per un giorno, in posti sperduti del mondo, e poi ritrovate, dopo anni, come in una favola.

Giorgio Bettinelli dalla Terra del Fuoco 3

E il freddo, la pioggia, i fulmini, le malattie? "Quando piove, ti bagni e poi ti asciughi", dice. "Influenze vere, in dieci anni, nemmeno una. In compenso, per due volte ho preso la malaria, in Africa". Ma niente sembra avere scavato cicatrici in lui. Ei ti scopri a pensare che la vita può essere più pesante, e più dura, e più amara, proprio quando cerchi di viverla al riparo, dentro una casa riscaldata, cercando di evitare il vento, la pioggia e l'imprevisto. Bettinelli ha visto tutto il mondo, è passato indenne attraverso decine di guerre civili, ha parlato con gente di religioni, lingue, culture, opinioni politiche diverse. E ha imparato la fiducia nei suoi simili.


Ah, sì, anche un'altra cosa: a dire "grazie" in 354 lingue diverse. E adesso, è già pronto a ripartire.


Giovanni Bogani

domenica 22 giugno 2008

Da San Gimignano a Dubai, passando per Manhattan

1200 c.a. A San Gimignano viene eretta la prima torre in mezzo alle case della città. E' la torre del Podestà, fatta edificare dalla famiglia Gregori. Miracolo della scienza e della tecnica gridano alcuni vecchi paesani, nel vedersi costruire un edificio di ben 52 metri.
Tante piccole case, e tra queste, un enorme parallelepipedo di mattoni a dominare la storica cittadina. "Ma indò s'andrà a finire?", "Icchè c'inventeranno poi?" avranno detto alcuni contadini, passando con i loro carri davanti all'edificio.

Probabilmente non mancarono scettici, perplessi e contrari al progetto. Ci sono sempre, quando ci ritroviamo davanti a qualcosa di innovativo. "Ma dove andremo a finire di questo passo" si saranno chiesti alcuni anziani. "Ma che reggerà a ì vento?" si saranno chiesti altri.

Il successo alla fine non mancò e nel periodo più splendente del Comune, si arrivarono a contare ben 72 torri.




1902. A New York sorge il primo grattacielo. E' il Fuller Building, di proprietà del signor George Fuller (Fuller Construction & Co).
Alto 83 metri, è sicuramente uno dei più eleganti skyscreapers di Manhattan. Oggi un semplice palazzo fra tanti, 106 anni fa un altro "miracolo della scienza e della tecnica". A pianta triangolare, è stato sin da subito soprannominato Flatiron, date le fattezze simili a quelle di un enorme ferro da stiro. Sicuramente non saranno mancati gli scettici anche in questo caso, ma sono certo che saranno stati ben pochi rispetto ai "contrari" di San Gimignano. Il motivo?
La sua particolare struttura generava particolari correnti d'aria che andavano a sollevare le gonne delle belle signore a passeggio davanti al palazzo.
E' l'inizio della "fallica" guerra a chi l'ha più grosso. Impresari investono ingenti somme di denaro, ignari dell'imminente declino economico che investirà gli Stati Uniti nel '29, per primeggiare sul propriodirimpettaio. Manhattan è un "teatro di guerra", ed il risultato di questa, sappiamo qual è:




2008. A Dubai viene presentato il progetto di un architetto fiorentino, David Fisher.

Dal Corriere della Sera: "Un grattacielo di 313 metri distribuiti su 68 piani di altezza, con un budget di circa 330 milioni di dollari, che cambierà continuamente forma e produrrà elettricità in misura decisamente superiore al proprio fabbisogno grazie allo sfruttamento dell'energia eolica e solare. Gli abitanti della torre potranno scegliere a piacimento il panorama e la luce del giorno che desiderano, grazie ad un meccanismo che consente ad ogni piano di ruotare in modo autonomo. «Gli spostamenti avranno una velocità molto lenta -, spiega Fisher - così da non risultare fastidiosi per gli inquilini, che non percepiranno il movimento». Oltre a porre fine all'era dell'architettura statica ed immutabile, la rivoluzione di Fisher ne inaugura una nuova, all'insegna della dinamicità.
Al suo interno la torre girevole ospiterà un albergo a sei stelle, uffici e appartamenti di varia grandezza e, negli ultimi piani, cinque "ville" da 1.500 mq ciascuna. Ogni villa avrà a disposizione un parcheggio auto al proprio piano servito da uno speciale ascensore. Sul tetto, la "Penthouse" avrà addirittura una piscina e un giardino. E se non bastasse la "Rotating Tower" sarà dotata di un eliporto "a scomparsa" al 64° piano: una piattaforma "magica" che si materializzerà per consentire l'atterraggio dell'elicottero, dissolvendosi nel nulla subito dopo".



Beh, che dire. In questo nuovo miracolo della scienza e della tecnica, festival del lusso sfrenato e perverso, penso proprio che gli scettici saranno ben pochi...

Inzaghi gli fa una pippa...

Inzaghi? Semplice dilettante rispetto a questo giocatore...



A parte gli scherzi, il giocatore purtroppo non stava simulando. Ha subito un colpo alla testa che gli ha provocato delle inquietanti convulsioni.

Niente di grave comunque. Nella partita successiva della sua squadra, era già in campo, anche se sul web circolavano (il fatto è avvenuto 3 anni fa) notizie infondate sul suo decesso, dovuto alla venuta dell'angelo della morte, impossessatosi del suo corpo.


Salâm alaykoum

sabato 21 giugno 2008

Sono pazzi questi pubblicitari

Mad Men, uomini pazzi, o forse no, semplici pubblicitari di una delle tante agenzie di Manhattan. Forse entrambe le cose. Mad men sono gli uomini di Madison Avenue, dove sorge il palazzo dell'agenzia Sterling & Cooper.
Proagonista è il tenebroso Donald Draper, circondato da colleghi di indubbio stile, ma di minore carisma e brillantezza rispetto al loro copyrighter di riferimento e da una folta schiera di segretarie ingenue, arriviste e frivole.

Questa serie l'ho conosciuta parlando con un mio amico, con il quale quando ci vediamo, non manchiamo mai di scambiarci opinioni e pareri su serie televisive e film visti negli ultimi periodi prima dell'incontro. Incuriosito da quanto mi ha riferito, ho deciso di scaricarmi i primi episodi. Formato 45 minuti.

Mad Men non scorre veloce. L'azione non è il perno della serie. Centrale è l'analisi che viene fatta sui comportamenti, sulle necessità, sugli usi e i costumi, sui desideri e sugli obiettivi della società medio-alto borghese. Non mancano mai, essendo l'ambiente pubblcitario il principale scenario in cui avvengono le vicende, riflessioni sulla società di massa. Siamo in un periodo in cui l'individualismo sta prendendo campo nelle teorie e tecniche di persuasione e dunque si fanno sempre più difficili le dinamiche pubblicitarie ("Può una donna volere lo stesso rossetto di altri milioni di donne?" si chiedono i copyrighter durante un episodio). Siamo nell'epoca dei Kennedy, di Elvis e delle bionde platinate. Siamo nei '60s.

Degni di nota sono i crediti di apertura.


venerdì 20 giugno 2008

"Piccoli" contrattempi

Rispolverando tra gli esercizi della scuola di sceneggiatura, ho ritrovato questo piccolo esercizio sui contrattempi, scritto sotto forma di soggetto.
Onestamente spero non capiti mai a nessuno, me compreso, una cosa del genere...

Un uomo deve prendere l’aereo delle 9,30 del mattino per Parigi, dove deve presentare un progetto di lavoro. La sveglia suona alle 6 e 30. Si alza, e per guadagnare tempo si mette subito calzini e camicia. Va in cucina, prende il barattolo del caffè dallo scaffale e sistema la moka sul fornello. Nel frattempo va in bagno, dove comincia a radersi velocemente con la lametta senza neanche usare la schiuma. Un forte rumore proveniente dalla cucina lo coglie all’improvviso. Per la paura si fa un taglio vicino al labbro. Lo tampona velocemente con la carta igienica e torna in cucina. Il pavimento è completamente sporco di farina. Nel prendere il barattolo del caffè non si è accorto di aver messo in bilico il sacchetto della farina. Comincia a spazzare e non avendo scarpe ai piedi, i calzini scuri diventano bianchi. Li scuote velocemente e starnutisce. D’istinto si porta la mano al naso, facendo strusciare il polsino della camicia bianca vicino alla ferita, sporcandolo di sangue. E’ costretto a cambiarsi ma nell’armadio non ha altre camicie dello stesso colore. Vuole dare una bella impressione di sé all’incontro, dunque perde tempo a sceglierne una di un colore diverso. Opta per una grigia.

Finisce di vestirsi, si mette un cerotto alla ferita ed esce di casa. Va alla macchina parcheggiata lungo la strada ma non può partire perché qualcuno ha lasciato la macchina in doppia fila davanti alla sua. Suona il clacson per farsi sentire. Esce un’anziana signora da un bar e dopo uno scambio di offese verbali sposta la macchina. L’uomo parte e va ad imboccare la tangenziale per l’aeroporto. L’uscita però è bloccata in quanto un tir ha sbandato ed invaso l’intera carreggiata. E’ costretto a proseguire ed imboccare l’autostrada, che lascia alla prima uscita. Al casello decide di mettersi in coda per pagare con il servizio automatico ma alla barra si accorge di non avere nel portafogli la tessera prepagata. E’ costretto ad uscire in retromarcia facendo adirare non poco gli autisti in coda dietro di lui.

Superato il casello con non poche difficoltà, prende le indicazioni per l’aeroporto che segnano una distanza di 15 chilometri. Il traffico è notevole. Si scorre a passo d’uomo e sono già le 8 e 20.

Arriva al check-in alle 9 e 15 e riesce a passare avanti alle persone in coda.

Sente l’ultima chiamata per il suo volo agli altoparlanti ma ormai ce l’ha fatta. Corre verso i controlli al metal-detector dove la fila è lunghissima. Chiede uno ad uno se può passare avanti, mostrando l’orario di partenza indicato sul biglietto. Nessuno oppone resistenza e arriva agilmente al nastro di controllo.

Sono le 9 e 20. E’ fatta. L’uomo riprende i propri oggetti personali passati al controllo e si incammina verso il gate ormai senza bisogno di correre, quando improvvisamente il cane della polizia di controllo comincia ad abbaiargli. Gli agenti si insospettiscono e lo fermano. Lo perquisiscono, ma non trovando niente di sospetto lo costringono a togliersi le scarpe. I calzini dell’uomo sono per buona parte ricoperti di polvere bianca, la farina cadutagli in cucina, ma la polizia non lo allontanerà in tempo da fargli prendere il suo importante volo.